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Su questa pagina riporto più o meno quanto è già noto sul mio conto e qualcosa di più sui temi di interesse comune che seguo da vicino.


venerdì 30 novembre 2012

La situazione delle Aree Marine Protette Mediterranee


Non avrebbe alcun senso trasformare il mausoleo indiano del Taj Mahal in una discarica di rifiuti tossici, o costruire un centro commerciale sull'Acropoli di Atene, o ancora tagliare le erbe del pianure del Serengeti per farne foraggio. 
Allora perché gli esseri umani non hanno analoghi comportamenti con il Mediterraneo? 
Probabilmente non c'è un mare, sulla Terra, dove ci sia un'associazione di valori culturali e naturali unici e universalmente riconosciuti come quelli che caratterizzano il Mediterraneo, che debbano coesistere con pressioni umane tanto intense e pervasive che inducono sempre più a dimenticare tutti questi valori.
Si potrebbe immaginare che l'umanità è pienamente vigile e decisa a rispondere a queste minacce, a trovare soluzioni ai conflitti, a garantire che le caratteristiche uniche del Mediterraneo non vadano perse. E non si può negare che ciò stia avvenendo, ma si tratta di azioni esitanti e poco incisive, con scarsi risultati. E nonostante questo impegno, l'habitat mediterraneo continua a peggiorare di anno in anno, e specie emblematiche scompaiono sotto i nostri occhi. 
Pochi successi vengono in mente. 
La perdita è ambientale e culturale, ma anche economica. Non dobbiamo dimenticare che il Mediterraneo è una delle mete turistiche più ambite nel mondo. Le Aree Marine Protette (AMP) sono riconosciute a livello mondiale come strumenti efficaci per proteggere l'ambiente marino e avere successo nel Mediterraneo, dove ne sono state create circa un centinaio negli ultimi
decenni, per fornire unaprotezione speciale ai siti caratterizzati da habitat e specie di maggiore interesse. Di fronte alla complessità dei problemi che pone la salvaguardia del Mare nel suo insieme, i paesi del Mediterraneo hanno deciso di proteggere i gioielli che ancora sussistono nei loro mari, e si sforzano di proteggerli classificandoli come Aree Marine Protette.
Tuttavia, anche entro i confini ristretti di questa strategia di selezione, c'è ancora molto da fare. I problemi riguardano sia il processo di classificazione, sia i problemi di gestione. Con la sola eccezione del Santuario Pelagos, tutte le AMP del Mediterraneo sono costiere, e nessuna AMP reale esiste ancora in profondità. Peggio ancora, circa i tre quarti di esse si trovano lungo le coste settentrionali del bacino mediterraneo, e risulta
evidente la mancanza di zone marine protette classificate nelle regioni meridionali e orientali, privando così di una necessaria protezione habitat e specie uniche.
Le Aree Marine Protette del Mediterraneo operano tutte come entità separate, e nessuna rete funzionale è ancora apparsa all'orizzonte. Più della metà delle aree marine protette nell'area mediterranea non si è ancora dotata di un proprio piano di gestione - la maggior parte di loro, perché non ha neppure nominato un ente gestore. Ciò significa che più della metà delle AMP del Mediterraneo potrebbero essere considerate come "parchi di carta", riducendo così in modo significativo l'efficacia dell'azione di tutela che potrebbe esercitare nella regione. Fattore negativo ancora più importante, l'efficacia protettiva nell'ambiente marino, in tutto il Mediterraneo, è ancora soggetta alla eterogeneità della governance regionale, delle strutture istituzionali, della distribuzione della ricchezza, del capitale sociale, e della conoscenza dell'ambiente.
Tuttavia, nonostante questo scenario piuttosto cupo, ci sono buoni motivi per essere ottimisti: le soluzioni ai problemi che le AMP del Mediterraneo hanno di fronte, sono oggi chiare e a portata di mano, a condizione che l'azione politica segua l'impegno politico... In primo luogo, una valutazione delle esperienze già acquisite, e di quanto occorre ancora conoscere, deve essere fatta per l'intero bacino mediterraneo. In secondo luogo, altre nuove AMP dovrebbero essere realizzate per affiancarle alle aree marine protette già esistenti, e creare delle reti di AMP ecologicamente e geograficamente equilibrate, con l'obiettivo finale di proteggere gli habitat rappresentativi di tutte le differenti eco-regioni del Mediterraneo.
In terzo luogo, AMP esistenti devono lavorare insieme per risolvere i problemi di governance (ad esempio, perfezionando lo status giuridico di AMP e l'infrastruttura istituzionale quando necessario), e di gestione (ad esempio, aiutando le AMP a dotarsi di strutture e organismi di gestione, di propri piani di gestione, e dei mezzi per la realizzazione). Per raggiungere questo obiettivo, dovranno essere rafforzati i partenariati tra tutti gli attori del settore, con dei ruoli precisamente attribuiti, con il consenso di tutti.
Presupposto fondamentale per un tale sforzo è la creazione di un punto zero da cui partire e poi misurare i progressi.  (...) Non perdiamo questa meravigliosa opportunità.

Giuseppe Notarbartolo di Sciara
Coordinateur Régional, CMAP-Région Marine Méditerranée et Mer Noire

dalla Prefazione di:
Statut des Aires Marines Protégées en Mer Méditerranée
Une étude réalisée conjointement par l’UICN, WWF et MedPAN
http://medmpaforum2012.org/sites/default/files/mpa_fr_lr.pdf
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lunedì 30 aprile 2012

L’impronta ecologica e quella culturale


Sulla nostra crescente impronta ecologica sul territorio non ci sono dubbi tanti sono ormai i dati, le cifre, le situazioni che ne danno l’allarmante conferma. Anche noi come Gruppo di San Rossore quando abbiamo deciso di occuparci dei parchi avevamo chiaro l’intreccio con questa condizione più generale di cui le aree protette sono un momento importantissimo ma non certo esclusivo.
Del resto la crisi dei parchi -e non certo a caso- è maturata all’interno di scelte politiche e istituzionali che hanno penalizzato l’insieme di quelle norme e regole di cui lo stato si era dotato negli anni successivi alla istituzione delle regioni. Gli effetti sono pesantemente negativi prima ancora che sul funzionamento del governo del territorio sulla impalcatura culturale che lo sosteneva. E’ stato così per il suolo, il paesaggio, la natura. Ciò che colpisce infatti oggi-e non solo nel caso dei parchi- è la confusione culturale, il venir meno come nel caso del  testo di legge e la discussione che l’accompagna al Senato di quei riferimenti culturali fondamentali che furono e restano alla base della legge 394. Muoveva da qui e in tempi non sospetti l’appuntamento di Parcolibri a Pisa  che nelle sue 4 edizioni fino all’ultima  che ebbe il riconoscimento del Presidente della Repubblica permise alla case editrici ma anche in primo luogo ai parchi di confrontarsi su libri e studi dedicati alla esperienza e ai problemi delle nostre aree protette. Un ruolo particolare ebbe allora ed ha ancora oggi la Collana dell’ETS sulle alle aree naturali protette giunta ormai a oltre 20 volumi inaugurata da quello dedicato alla Biodiversità nelle aree protette curato da Sandro Pignatti che continua con grande regolarità ad essere ricercato. Basta del resto vedere gli ultimi dedicati alla pianificazione dei parchi (curato da Massimo Sargolini), sulle Alpi ( curato da Cesare Lasen), il paesaggio (curato da Enrico Falqui), le Aree protette marine (curato da Fabio Vallarola) per avere conferma di come si sia riusciti a coinvolgere decine di prestigiosi autori del mondo universitario ma anche di amministratori, operatori e tecnici impegnati nei parchi nazionali e regionali.
Ecco perché pensiamo che valga la pena di valutare –anche come Gruppo di San Rossore- l’opportunità di riprendere Parcolibri e utilizzare i libri che toccano questioni fondamentali del dibattito sul ruolo e il futuro dei parchi per promuovere specialmente in realtà e per temi ben definiti; le alpi, il mare, il paesaggio una nostra iniziativa.
Renzo Moschini

venerdì 10 febbraio 2012

LEGGE PARCHI Appello delle Associazioni Ambientaliste

Con il pretesto della riforma della Legge n.394 del 1991 si stravolgono i Parchi Nazionali

FAI-Fondo Ambiente Italiano, Italia Nostra, Mountain Wilderness, LIPU-BirdLife Italia e WWF Italia lanciano insieme un appello per fermare la riforma della legge 394 sulle aree protette che rischia di stravolgere i parchi Nazionali.
Gli aspetti più pericolosi della riforma avviata dalla Commissione Ambiente del Senato interessano essenzialmente tre aspetti della gestione delle nostre aree protette che per i loro contenuti rischiano di stravolgere alcuni dei principi fondamentali che hanno motivato la creazione dei Parchi e delle Riserve naturali non solo in Italia ma in tutto il mondo.
Nei prossimi mesi per fermare questa riforma inutile e dannosa della Legge quadro sulle aree naturali protette le nostre Associazioni lavoreranno insieme, cercando il supporto del mondo scientifico, degli intellettuali, dei rappresentanti della cultura e dell’ampia maggioranza dell’opinione pubblica che ha a cuore la sorte dei nostri Parchi Nazionali e della natura che devono proteggere.
E' solo rispettando le finalità di tutela che i parchi possono rappresentare un forte richiamo per il turismo nazionale e internazionale con ricadute positive sull'occupazione.
La riforma contestata vuole mettere in discussione il delicato equilibrio raggiunto nella gestione dei parchi tra rappresentanti del Ministeri dell’Ambiente e dell’Agricoltura, del mondo scientifico, delle Associazioni ambientaliste e dei rappresentanti degli Enti Locali, nel rispetto della Costituzione che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela degli ecosistemi proprio per ribadire l’interesse nazionale della conservazione della natura. Le proposte di modifica intendono spostare questo delicato equilibrio a vantaggio di coloro che rappresentano interessi locali e di settore con una maggioranza dei rappresentanti degli Enti Locali e l’introduzione di un rappresentante delle Associazioni agricole nel Consiglio direttivo degli Enti Parco. Allo stesso tempo verrebbero eliminati i rappresentanti del mondo scientifico e ridotta la presenza delle Associazioni ambientaliste.
Queste modifiche, insieme alle nuove procedure previste per la nomina dei direttori dei parchi, non farebbero che aumentare la politicizzazione degli Enti Parco.
Una maggiore efficienza nella gestione degli Enti Parco, in particolare per la valorizzazione delle identità locali dei territori e lo sviluppo della “green economy”, sarebbe la motivazione principale dei sostenitori della riforma, ma questo può essere perseguito da diversi Enti pubblici nell’ambito delle loro ordinarie funzioni. Le aree naturali protette nascono per la conservazione della natura, se gli Enti Parco si trasformano in grandi Pro loco o agenzie di sviluppo locale finiscono per diventare inutili doppioni di Enti che oggi in molti vorrebbero tra l’altro cancellare.
Come secondo punto critico si aprirebbe la possibilità di cacciare nelle aree protette con la scusa del controllo delle specie aliene, quando soluzioni efficaci sono possibili anche con l’attuale normativa ed organizzazione dei Parchi.
Terzo aspetto è il meccanismo di finanziamento degli Enti Parco con l’introduzione della riscossione di una royalty o di canoni su alcune attività ad elevato impatto ambientale (la coltivazione di idrocarburi, gli impianti idroelettrici, impianti a biomasse, oleodotti ed elettrodotti fuori terra, le attività estrattive, posti barca ecc) che determinerebbero un pesante condizionamento delle decisioni di un Ente Parco che in prospettiva sarebbe a larga maggioranza controllato dai rappresentanti dei Comuni.

Roma, 26 gennaio 2012